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La pillola di WEBB #cambiareprospettiva

 

 

Se … ICF, allora … è necessario cambiare prospettiva valutativa nell'allocazione delle risorse

di Lucilla Frattura

La chiave di volta per ripensare alla politiche allocative, essere coerenti con la Convenzione ONU delle persone con disabilità e usare in maniera convincente la prospettiva ecologica che ICF propone, è quella di passare dalla valutazione dei gravi clinicamente/gravosi assistenzialmente (non autosufficienti/disabili con diversa gravità/invalidi/persone con necessità di assistenza intensiva e protratta) alla valutazione dei "gravi" problemi della presa in carico.

Si tratta di passare dalla valutazione dei bisogni assistenziali di un individuo che ha bisogno di qualcosa, alla valutazione dei bisogni di adattamenti ragionevoli di un'interazione non ancora di successo con quell'individuo.

In questa prospettiva, la valutazione con ICF non è utile per dire in modo grossolano "quanto è grave il paziente" (lo sanno già i clinici, i pazienti e le loro famiglie) o "quanta difficoltà ha nella vita una persona con menomazioni durature" (lo sa già la persona in questione, le menomazioni a volte si vedono o si "misurano" con strumenti professionali) o quanta difficolta ha a leggere un dislessico.

La valutazione con ICF può invece essere molto utile per rispondere ad altre domande:

Per usare espressioni più vicine alla fraseologia ICF, bisognerebbe chiedersi "l'interazione tra l'individuo Mario e i suoi fattori contestuali rispetto a svolgere una, dieci, venti attività è senza problemi?" oppure "l'interazione tra l'individuo Daniela e i suoi fattori contestuali rispetto al ripristino di una, due, cinque funzioni corporee è senza problemi?".

Se le risposte a queste domande fossero positive, dovremmo essere molto contenti, persone e sistemi curanti, perché vorrebbe dire che ci si sta occupando bene dei problemi di salute e di vita quotidiana delle persone che i sistemi di welfare stanno seguendo (hanno in carico).

Se le risposte a queste domande fossero positive, vorrebbe anche dire che tutto quello che permette a Mario e a Daniela di "funzionare" e "essere vivi" (che in linguaggio ICF sono i cosiddetti fattori ambientali) deve essere garantito e reso sostenibile nel tempo (a rischio di veder peggiorare tale situazione e di ottenere risposte negative alle nostre domande sul funzionamento).

Se le risposte dovessero essere negative, dovremmo rimboccarci le maniche per ottenere migliori risultati.

Se anche ci si volesse porre il problema di rispondere a domande sulla gravità di un paziente, bisognerebbe almeno porsi le domande "quanto è ancora grave quel paziente" "quanto ancora non è messo in grado di scrivere quell'alunno", "quanto ancora non è in messo in condizione di procurarsi beni e servizi quella donna", ecc, ovvero "nonostante ci si stia occupando di lui, della sua quotidianità".

Se una persona fosse "ancora grave" si dovrebbe accendere una luce "rossa", un "allarme": vorrebbe dire che non si è fatto abbastanza e/o che non si hanno le soluzioni per risolvere i suoi problemi, che non ci se ne è occupati. Se di "gravi" bisogna parlare, quelli "gravi" sarebbero i non presi in carico, gli abbandonati.

Le stesse domande valgono anche per le persone che, secondo specifici e vigenti criteri di eleggibilità a servizi e interventi di welfare, sono ancora definite non-autosufficienti.

Ci dovremmo infatti chiedere se i servizi erogati ad un non-autosufficiente gli permettano di svolgere con successo le attività che non è capace di svolgere, in quanto non autosufficiente.

Se questa domanda non venisse mai posta, non sapremmo mai se quello che viene richiesto a gran voce di fare di più (mantenere il Fondo nazionale per le non autosufficienze, arricchirlo di nuove risorse) porterebbe a buoni risultati nella vita ordinaria, essendo una "svolta" pratica per la vita di tutti i giorni.

Anche la proposta di modificare il termine non-autosufficienti con "necessità di assistenza continuativa/intensiva" non ci dirime dal porci la domanda sulla verifica dell'utilità degli interventi assistenziali (di qualunque tipo essi siano: soldi o servizi, soldi e servizi).

Le politiche pubbliche devono porsi la domanda sui risultati delle politiche in termini inclusivi. Se volessero farlo davvero potrebbero usare ICF in modo utile, chiedendosi se: le persone assistite hanno "funzionamento" (sono state messe in grado di non avere problemi nelle funzioni fisiologiche del corpo, nello svolgimento di attività, nella partecipazione alla vita sociale) o hanno ancora "disabilità" (non sono state messe ancora in grado di non avere problemi nelle funzioni fisiologiche del corpo, nello svolgimento di attività, nella partecipazione alla vita sociale).

Se le persone assistite dovessero ancora avere disabilità, si dovrebbe accendere la spia "rossa", l'allarme" (non abbiamo fatto abbastanza, etc): vorrebbe dire che si deve fare di più e meglio per mettere in grado di non avere problemi nelle funzioni fisiologiche del corpo, nello svolgimento di attività, nella partecipazione alla vita sociale.

Le domande su come sono seguite/assistite/curate/messe in condizioni di apprendere/messe in condizioni di lavorare le persone prese in carico dal sistema socio-sanitario-educativo (e più in generale dal sistema di opportunità che il welfare dovrebbe assicurare a chiunque), e con quale effetto per la vita di tutti i giorni, diventano rilevanti per i sistemi di welfare che, quando se le pongono, hanno già erogato servizi e interventi di varia natura (dai previdenziali, a quelli nei LEA, agli assistenziali).

Non si tratta quindi di capire chi è più grave/più invalido/più disabile (uso volutamente espressioni comuni e da superare), ma chi, essendo grave/invalido/disabile, è più abbandonato. E intervenire di conseguenza. È solo rispondendo a queste domande, credo, che si può indirizzare il da farsi ancora e meglio e in modo ragionevole, per continuare a garantire l'assistenza alle persone molto ben assistite e aggiustarla alle persone che non sono molto ben assistite. Tale "da farsi" è ascrivibile agli "adattamenti ragionevoli" di cui parla la Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità.

Più i sistemi di welfare intendono definirsi (ed essere) comunitari e/o misti e/o integrati, più queste domande sono rilevanti. Diventano valide per una comunità intera che "si prende cura", più o meno efficacemente, dei suoi abitanti.

Ci sono persone, inoltre, che non sono più ammalate, ma con "menomazioni durature" (per citare la Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità"), che potrebbero non essere state messe in condizione di vivere una vita ordinaria. Queste persone, attraverso la voce di numerose associazioni e federazioni di associazioni, chiedono un progetto personalizzato che chiamano di vita indipendente proprio perchè sia assicurata l'opportunità di vivere una vita ordinaria.

I progetti di vita indipendente, i progetti personalizzati di presa in carico, i progetti educativi personalizzati, quelli di inserimento lavorativo sono tutti valutabili, monitorabili e migliorabili ponendosi domande valutative sui risultati raggiunti usando ICF. E imparare a ripensare ai problemi presenti come problemi della "presa in carico" e non come problemi di un individuo. E imparare a ripensare ai bisogni di assistenza come a problemi della presa incarico, ovvero a risultati insoddisfacenti della presa in carico che non è ancora riuscita a soddisfare i bisogni.

 

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