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La pillola di WEBB #accertamentoburocratico

 

 

Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità e ICF nel Programma di azione biennale italiano: un "doppio passaggio" burocratico-amministrativo

di Lucilla Frattura

Vorrei discutere l'uso suggerito di ICF per il riconoscimento/certificazione/accertamento della disabilità nel Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità.

Vorrei considerare la differenza che esiste tra la disabilità a cui si riferisce la Convenzione Onu e la disabilità secondo ICF. Considerare questa differenza ha risvolti pratici nel momento in cui deve andare a cercare le "persone con disabilità" di cui parla la Convenzione Onu.

Nella definizione della Convenzione la disabilità è una condizione che sperimentano le persone con menomazioni durature. L'essere con menomazioni durature è una precondizione della valutazione della condizione di disabilità. Nel Programma di azione, l'accertamento delle menomazioni durature viene ritenuto il primo passo da fare, per poi lasciare ad un momento successivo la descrizione delle eventuali restrizioni di partecipazione per effetto di barriere di diversa natura. L'accertamento delle menomazioni durature si fa utilizzando la componente di ICF Funzioni e strutture corporee. Questa fase comprende anche l'accertamento della condizione di salute con ICD10.

Nella descrizione della disabilità secondo ICF, la descrizione delle menomazioni delle funzioni fisiologiche e delle strutture anatomiche va fatta insieme alla descrizione delle limitazioni nelle attività e alle restrizioni della partecipazione. Le precondizioni per la valutazione della disabilità secondo ICF sono la persona con le sue condizioni di salute (che possono essere codificate usando ICD) e i fattori contestuali di quella persona (che possono essere descritti usando ICF solo per la descrizione dei Fattori ambientali, mentre i fattori personali devono essere descritti in linguaggio naturale). La disabilità secondo ICF descrive gli aspetti dell'interazione tra persona e contesto rispetto alle Funzioni e Strutture corporee, Attività e Partecipazione.

Questo comporterebbe in pratica che, volendo usare ICF, la procedura a doppio passo andrebbe comunque ripensata, in quanto, se dell'uso di ICF si tratta, non si può sfuggire all'impostazione valutativa che il modello descrittivo del funzionamento propone come riferimento.

Anche nella procedura a doppio passo, l'Accertatore dovrebbe disporre di una descrizione completa dei fattori ambientali di quella persona rispetto ai quali descrivere le menomazioni durature. Descrizione completa significa che non bastano le informazioni sui soli "sostegni personali", come suggerito nel Programma di azione.

In termini ICF, le menomazioni sono problemi delle funzioni fisiologiche del corpo e delle parti anatomiche che, dovendo essere presenti per identificare la popolazione target, devono per forza essere descritte da un valore del qualificatore diverso da 0 (valore del qualificatore uguale 0 significa in ICF assenza di problema). L'Accertatore quindi si dispone a cercare menomazioni descritte da valori del qualificatore uguali a 1 (problema lieve), 2 (problema medio), 3 (problema rilevante), 4 (problema completo). Questi valori assumono che il problema evidenziato tiene conto dell'effetto dei fattori ambientali, che devono essere chiaramente esplicitati e descritti come facilitatori o barriere e il loro grado di facilitazione o barriera.

È evidente che, se anche si dovesse fare quello che il Programma di azione suggerisce di fare in fase di introduzione delle nuove modalità di accertamento della disabilità, ovvero tenere conto solo dei sostegni personali, il fatto che una persona venga descritta con una menomazione di grado variabile da 1 a 4 in presenza di sostegni personali, indicherebbe che tali sostegni sono comunque insufficienti a far sì che quella persona non abbia più quelle determinate menomazioni. Potrebbe inoltre emergere che non sono i sostegni personali i fattori di cui la persona avrebbe bisogno per "aggiustare" le menomazioni ancora presenti".

È altrettanto evidente che se l'Accertatore conoscesse gli altri fattori che la persona sta usando (farmaci, alimenti specifici prescritti, dispositivi impiantabili) avrebbe più elementi per considerare se il problema a livello di una o più funzione fisiologica è ben trattato e se l'intervento dei "sostegni personali" nell'assunzione dei farmaci, degli alimenti o nel controllo e monitoraggio dei dispositivi è qualitativamente valido.

Diverso è se si dovessero considerare le menomazioni durature sintomi e segni di malattie o sequele. In questo caso non avremmo bisogno di ICF, bensì della sola ICD-10.

In sintesi, a questo punto del mio ragionamento, poiché è indispensabile conoscere i fattori ambientali per descriverne l'effetto anche rispetto al grado di menomazione nel modello descrittivo ICF, tale descrizione di fattori ambientali dovrebbe rappresentare la prima cosa da fare, sia per accingersi a descrivere le menomazioni durature sia per accingersi a descrivere le limitazioni nelle attività e le restrizioni di partecipazione. Tale descrizione è parte del processo di valutazione del funzionamento e della disabilità anche a livello di Funzioni e Strutture Corporee e deve essere messa in primo piano.

È per tutto questo non esplicitato che, quando nella questione dell'accertamento della condizione di disabilità si innesta ICF, la babele linguistica si intensifica. Non importa cosa scrivi in ICF basta che sia scritto in ICF tanto nessuno (o quasi) sarà in grado di capire cosa c'è scritto. È serio tutto questo?

Tutti sembrano più interessati alla lista dei codici da usare che a quale testo scrivere. È come se, volendo scrivere un saggio breve in inglese sulla scoperta dell'America, ci concentrassimo solo sul numero di parole da usare e su quali parole usare senza tener conto delle frasi intere da scrivere, di cosa scrivere per comunicare che cosa e dal punto di vista di chi e farci capire da chi non parla correntemente la lingua in cui sto scrivendo. Come è noto, è ben diversa una storia scritta da parte di chi ha scoperto un paese o da parte di chi è stato invaso e sterminato.

Post scriptum: domande aperte

Quando si dice "il fine giustifica i mezzi" si dice una bieca verità.

Allora quale deve essere il fine delle procedure di riconoscimento/accertamento della disabilità?

Perché usare i termini "riconoscimento", "accertamento" quando invece si vorrebbe che ogni persona, ognuna diversa da un'altra, riceva il giusto-necessario-dovuto-esigibile-sostenibile-ragionevole insieme di interventi e tutele?

Come mai, per essere curati basta rivolgersi al sistema sanitario che in maniera diretta (e non mediata da commissioni di valutazione), quando serve anche in maniera multidisciplinare, avviano il processo di diagnosi e cura delle patologie in atto e invece per essere "assistiti" , esigere i diritti, o semplicemente essere "tutelati" bisogna ricorrere ad una procedura di accertamento (con gli annessi e i connessi risvolti medico-legali e burocratico-amministrativi del dare e del togliere quello di cui si ha bisogno per vivere una vita giusta in uno stato giusto?)

Volendo che la presa in carico delle "persone con disabilità" sia un LEA sociosanitario, che senso ha anteporre alla presa in carico una procedura a doppio passo che vede da un lato l'accertamento delle condizioni di salute e delle menomazioni, e dall'altro l'accertamento dei problemi nello svolgimento di alcune attività e della partecipazione?

Perché un doppio passo? E chi fa che cosa?

Se di LEA si deve trattare, il livello essenziale di assistenza alle persone che dalla convenzione ONU in avanti dobbiamo chiamare "con disabilita" sarebbe già presente. Può una procedura di accertamento professionale, finalizzata a comprendere quali sono i problemi e quali gli interventi da introdurre per risolvere i problemi delle persone che accedono al sistema sociosanitario continuare a mantenere l'ambiguità sui suoi fini e stare di fatto nella terra di nessuno dell'integrazione sociosanitaria?

Ma se di integrazione socio-sanitaria si deve trattare, allora abbandonerei certamente il brutto termine di "accertamento" e mi concentrerei sulla sostanza della presa in carico integrata: capire quali sono i problemi da affrontare avvalendosi di metodologie adatte, decidere gli interventi da introdurre avendo criteri validi per decidere, verificare se i correttivi hanno risolto i problemi con metodologie altrettanto adatte. Sulla base di queste informazioni, raccolte in modo sistematico, potremmo realizzare una nuova epidemiologia dei risultati di salute, determinati da una presa in carico diretta, ragionevole, competente, antidiscriminatoria e a bassa burocrazia.

 

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