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La pillola di WEBB #babele

 

 

Come superare l'empasse della babele del linguaggio comune: le principali novità introdotte da ICF e qualche considerazione per il suo uso

di Lucilla Frattura

Agosto 2014, aggiornato Gennaio 2018

Come Centro di riferimento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la Famiglia delle Classificazioni Internazionali in Italia, stiamo da tempo portando avanti un'osservazione su come le istituzioni pubbliche italiane stiano usando la Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (ICF), ritenendola utile per uniformare i linguaggi descrittivi della salute. C'è molto fermento, infatti, nelle Regioni e nelle Istituzioni centrali per utilizzare metodologie di valutazione che permettano di allocare servizi e interventi sociosanitari, educativi e per l'inserimento lavorativo in modo "oggettivo". Poiché le risorse sono scarse e bisogna scegliere a chi fornire servizi "non ancora considerati livelli essenziali", è necessario definire criteri di eleggibilità. L'utilizzo di ICF viene proposto da alcuni soggetti istituzionali come "strumento" da usare a questo fine. Tuttavia, gli usi suggeriti e le modalità d'uso sono molto eterogenee e il rischio di quella che ho chiamato la "babele del linguaggio comune" è molto alto.

Tale osservazione mi ha spinto a esplicitare alcune considerazioni attraverso le pillole di WEBB per arrivare a condividere una proposta operativa a mio giudizio indispensabile.

Una classificazione in evoluzione e concetti chiave in via di chiarimento

Nel testo del 2001, l'OMS precisa che ICF:

Essere un linguaggio, è per ICF un tratto distintivo che la rende di maggiore difficoltà d'uso rispetto a ICD. Essere un linguaggio, per ICF significa fornire vocaboli, regole grammaticali e sintattiche che permettono di scrivere testi, leggere testi, e di parlare usando tale linguaggio. Tuttavia i vocaboli sono destinati a modificarsi nel processo di aggiornamento della classificazione, e le regole grammaticali e sintattiche a precisarsi a seguito dell'uso sperimentale che nel mondo è stato finora fatto.

Affinchè ICF possa essere usato nelle direzioni proposte da OMS, e con le caratteristiche proprio di linguaggio, è innanzitutto necessario che la classificazione sia formalmente tradotta, aggiornata, manutenuta e implementata come standard di codifica nei documenti sanitari dalle autorità preposte in ogni Paese in cui la classificazione va usata. In Italia, per esempio, sarebbe necessario (indispensabile) che la traduzione storica e gli aggiornamenti fossero verificati in un ambiente collaborativo come quello messo a punto su Portale italiano delle Classificazioni, e che fossero disponibili versioni aggiornate ufficiali per l'Italia della classificazione. Così come stiamo facendo per ICD-10. L'accordo tra Ministero della Salute e Centro collaboratore italiano dell'OMS per la Famiglia delle Classificazioni internazionali va in questa direzione. Ma questo non basta per usare la Classificazione. È necessario definire uno o più casi d'uso, accompagnati da chiare e definite regole d'uso. Così come si sta facendo per ICD-10 nella codifica della morbosità.

Allo stato attuale delle cose, possiamo soltanto dire che le esperienze d'uso di ICF in Italia vanno considerate complessivamente applicazioni fatte nell'ambito di progetti di ricerca variamente finanziati. Tale applicazioni richiedono di avviare un serio e responsabile lavoro di analisi e di sintesi, utile a definire, se possibile, un "caso d'uso" che possa essere messo a disposizione anche internazionalmente. Questo sforzo va fatto e come Centro collaboratore dell'OMS abbiamo tutto l'interesse affinchè l'Italia massimizzi i profitti sia di essere centro collaboratore sia di avere a disposizione un centro collaboratore.

OMS, infatti, affronta in ICF il tema complesso della "descrizione della salute", illustrando il modello descrittivo che propone di adoperare e fornendo elementi finalizzati a organizzare l'uso di modello e linguaggio in maniere che ritiene possano essere differenti. OMS, quindi, non ci risolve il problema del "caso d'uso", piuttosto ce lo pone.

Come utilizzatori, pertanto, abbiamo il compito di definire il caso d'uso/i casi d'uso e le regole d'uso di ICF tenuti fermi gli scopi generali della Classificazione.

Va considerato che, dal 2001 ad oggi, OMS ha da un lato approvato una classificazione derivata (ICF-CY), dall'altro ha aggiornato la sua classificazione di riferimento (ICF), decidendo nel 2012 di concentrare il processo di aggiornamento sulla sola ICF. Ha inoltre avviato un processo di revisione dell’intero impianto classificatorio a fronte delle sollecitazioni venute dai suoi centri collaboratori. ICF quindi come linguaggio è in evoluzione. Molto forte è il dibattito sui qualificatori attualmente presenti per descrivere i problemi o la loro assenza e sulla componente dei fattori ambientali.

Figura 1 - Il processo di aggiornamento di ICF è in un imbuto

Non bisogna trascurare nemmeno la questione dei termini che ICF ha scelto di usare per dare un nome alla Classificazione. Mentre l'acronimo ICF sta per International Classification of Functioning, il sottotitolo completo è quello che conosciamo come International Classification of Functioning, Disability and Health. Il termine Disability è il più critico.

Figura 2 - L'ambiguità semantica del termine Disability

È infatti un termine "vecchio" (già usato in precedenza da OMS e molto usato comunemente nell'accezione di "conseguenza di una malattia") che viene proposto con un "significato nuovo" e in qualche maniera indiretto. Viene infatti spiegato il costrutto del termine. Nel glossario pubblicato nell'Annex 1 (WHO, 2001), troviamo una doppia definizione:

  1. termine ombrello che sta a indicare le menomazioni di funzioni e strutture corporee, le limitazioni delle attività e la restrizione della partecipazione
  2. termine che indica gli aspetti negativi dell'interazione tra un individuo con una condizione di salute e i fattori contestuali di quell'individuo.

La prima parte della spiegazione porterebbe a pensare che quando si descrive la disabilitè vanno descritti i problemi di un individuo ai tre livelli indicati; la seconda parte della spiegazione precisa che sono "gli aspetti negativi" dell’interazione individuo/contesto che devono essere descritti. Non viene tuttavia data una soluzione pratica e univoca, attraverso l'uso della grammatica e della sintassi della classificazione, per tradure in ICF gli aspetti negativi di un'interazione. Mi spiego meglio: non troviamo indicazioni valide una volta per tutte rispetto al fatto che il discrimine tra funzionamento e disabilità, fatto categoria per categoria, sta tra una categoria ocn primo qualificatore 0 (che indica senza ombra di dubbio l'assenza di qualsivoglia problema) e tutte le altre categorie che descrivono la presenza e l'entità di un problema, ovvero 1, 2, 3, 4 o se possono/devono essere stabiliti di volta in volta discrimini differenti (approfondisci).

La dissonanza cognitiva tra nome (disability) e significato è la principale fonte degli equivoci in atto quando si parla di "persone con disabilitè". In inglese si dice "persons with disabilities" e "persons with disability", ma anche in inglese ci sarebbe da discutere su plurale/singolare per le conseguenze pratiche che tale differenza potrebbe avere sulla "ricerca della/e disabilità" in una persona o in una popolazione. Senza contare che il termine è stato tradotto in numerose lingue nazionali e non sempre il termine che di volta in volta è stato usato aveva il significato che ICF gli ha dato. Sta di fatto che l'equivoco si amplifica nei diversi paesi proprio rispetto al termine che, nelle diverse lingue del mondo, traduce il termine disability con un termine in genere già presente nella lingua, ma che non si porta dietro il nuovo significato di "disability secondo ICF".

Da questo momento in poi, perciò, non dirò solo "disabilità", ma "disabilità secondo ICF" tutte le volte che avrò bisogno di precisare che il significato che sto usando è quello suggerito da ICF. Tutti quelli che intendono usare ICF dovrebbero farlo, per non confondere le diverse accezioni del termine disabilità copresenti nel dibattito politico, scientifico, operativo.

Il concetto di funzionamento e l'universalismo dell'approccio ecologico alla valutazione della salute e disabilitè intese come interazione individuo/contesto

Il funzionamento (traduzione difficile in italiano del termine inglese functioning) a cui si riferisce ICF individua una dimensione universale. Si tratta infatti del funzionamento umano. ICF si riferisce al funzionamento in un'accezione positiva, e ne propone una definizione nuova. Di tale definizione vale la pena sottolineare la parte in cui si dice che il termine funzionamento descrive gli aspetti positivi dell'interazione tra individuo con una definita/identificata condizione di salute (che non coincide sempre con una diagnosi di malattia) e i suoi fattori contestuali.

In questa accezione, come fare a descrivere il funzionamento? E a quale valore di qualificatore dobbiamo far riferimento per dire che stiamo descrivendo il funzionamento?

Sulla base di quello che è esplicitamente detto nella classificazione, bisogna tenere conto di quattro aspetti dell'esperienza umana:

ICF prevede nella descrizione del funzionamento di descrivere il coinvolgimento della persona nella vita sociale e di comunità e dedica sezioni specifiche alla partecipazione, al lavoro e alla scuola.

È aperto un dibattito, anche nella letteratura scientifica, sulla differenza tra attività e partecipazione. Secondo alcuni lo svolgimento di ogni tipo di attività prevede il coinvolgimento con gli altri, secondo altri solo alcune attività possono descrivere la partecipazione in senso stretto (quelle dei capitoli 7, 8, e 9 della componente Attività e Partecipazione di ICF). La questione può avere risvolti pratici quando bisogna identificare le persone con restrizioni di partecipazione (quelle di cui, per esempio, parla la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) usando ICF.

L'introduzione della nozione di funzionamento così articolata, prevede, in ICF, la speculare introduzione della nozione di disabilità. Anche in questo caso vale la pena sottolineare la parte della definizione relativa al fatto che tale termine "indica gli aspetti negativi dell'interazione tra una persona con condizioni di salute specificate e i fattori contestuali di quella persona".

Secondo questa definizione, per esplorare la disabilità bisognerebbe esplorare se ci sono "aspetti negativi dell'interazione" a livello di:

È evidente che se si intende descrivere funzionamento e disabilità secondo ICF bisogna dotarsi di strumenti e competenze nuove per farlo. La trasparenze di tali strumenti e la chiarezza sull'uso sono uno dei principali punti da approfondire, sia quando si intende definire uno specifico caso d'uso, sia anche quando si leggono lavori internazionali (approfondisci).

Se ICF fornisce regole di codifica, non esplicita come fare a procurarsi le informazioni utili a descrivere funzionamento e disabilità. Riteniamo pertanto che un nuovo sforzo debba essere fatto in questa direzione e come Centro di riferimento OMS in Italia ci stiamo lavorando con la messa a punto di questionari specifici per l'analisi del funzionamento umano.

Il ruolo del contesto e la povertà descrittiva dei fattori ambientali attualmente classificati

Nessuna valutazione del funzionamento (e specularmene della disabilità) è quindi corretta, completa e utile se non specifica e analizza il ruolo dei fattori ambientali e personali. Il funzionamento e il suo lato speculare, la disabilità, non sono più in ICF caratteristiche della persona, ma sono il risultato dell'interazione tra persona con condizione di salute e fattori ambientali e personali.

Questa affermazione indiscutibile, e fortemente accettata da tutti quelli che dicono di usare ICF, ha a sua volta risvolti pratici quando si deve comprendere il ruolo di tali fattori nel funzionamento. Per descriverne il loro ruolo bisogna innanzitutto censirli, individuarli.

L'attuale versione di ICF, comprensiva degli aggiornamenti 2011, 2012, 2013 e di quelli successivamente approvati nel 2014, 2015, 2016, 2017 dal Council del network dei Centri collaboratori dell'OMS, fornisce solo una traccia per censire i fattori ambientali. La componente dei Fattori ambientali di ICF è, infatti, la più scarsa, la più incompleta, la meno aggiornata tra le componenti della classificazione.

Si può scegliere di essere sommari e di fare di tutt'erba un fascio quando ci si riferisce agli ausili (solo 7 termini per descrivere le tipologie di prodotti che una classificazione più specifica, ISO9999, sempre appartenente alla Famiglia delle Classificazioni OMS, descrive con più di 800 termini), oppure ai sistemi, servizi e politiche sanitarie (1 solo termine ICF contro 20 diversi servizi sanitari regionali italiani diversamente organizzati) o i sistemi servizi e politiche di sostegno sociale generale (1 solo termine contro diverse organizzazioni zonali dei servizi e degli interventi sociali nelle 20 regioni italiane). E potrei andare avanti. Oppure si sceglie di essere precisi, di voler distinguere. Se si vuole distinguere tra ausilio e ausilio, tra distretto e dipartimento di salute mentale, tra consultorio e centro diurno, tra neuropsichiatra e fisiatra, tra insegnante curriculare e insegnante di sostegno, tra assegno di cura e indennità di accompagnamento (e così avanti …) allora bisogna rimboccarsi le maniche. L'abbiamo iniziato a fare nel 2011 con lo sviluppo di un sistema di valutazione, inizialmente chiamato FBE (Fascicolo Biopsicosociale Elettronico) che potesse essere di supporto alla presa in carico integrata e che sapesse usare nomenclature e terminologie standard. Siamo arrivati nel corso dei due anni successivi a inventare il sistema di valutazione VilmaFABER, che presenterò più avanti in questa pillola, presentando in altre pillole alcuni risultati e lo stato del processo di diffusione.

L'introduzione delle coordinate spazio-tempo: la valutazione del funzionamento è a quattro dimensioni.

Il modello descrittivo del funzionamento che ICF fornisce potrebbe essere definito bidimensionale. Descrive le interazioni tra le componenti che il modello descrittivo mette in interazione e che nei paragrafi precedenti ho brevemente ripreso. Tuttavia è implicito che la descrizione dell'interazione tra persone con condizioni di salute esplicitate e fattori contestuali debba essere riferita ad uno "spazio" preciso e ad un "tempo" altrettanto esplicito.

Per esempio, la descrizione dell'interazione persona/contesto riferita alla vita in casa, è differente dall'interazione della stessa persona in un setting diverso come quello della scuola (descritta da fattori ambientali specifici e differenti da quelli che agiscono a casa) o del posto di lavoro (a sua volta descritto da fattori ambientali differenti da quelli che agiscono a scuola o a casa).

Inoltre andrà specificato che la descrizione del funzionamento è sempre retrospettiva, guarda indietro nel tempo e descrive come sono andate le cose tra un persona con un problema di salute e i suoi fattori contestuali in un arco di tempo che potrebbe essere lungo un giorno, una settimana, un mese, gli ultimi tre mesi. OMS, per esempio, ha adottato di osservare l'ultimo mese, quando ha testato l'ICF o quando ha sviluppato lo strumento di misura della disabilità chiamato WHODAS 2.0.

Le dimensioni dello spazio in cui si descrive il funzionamento e del tempo a cui si riferisce l'osservazione necessitano pertanto di essere chiaramente esplicitati. Questa necessità è particolarmente cogente per avere chiaro che se si intende intervenire per contrastare la disabilità e supportare il funzionamento è necessario avere presenti i profili di funzionamento spazio-tempo specifici. In altre parole un profilo di funzionamento descritto nell'ambiente casa e riferito ai trenta giorni precedenti la valutazione non è di per sè utilizzabile per organizzare un progetto didattico educativo in un altro spazio-tempo di funzionamento (la scuola).

La babele del linguaggio comune

Pur consapevole di essere troppo sommaria, e per concludere questa pillola, ritengo utile evidenziare che ciò che ho avuto modo di constatare personalmente a diversi livelli, è che non basta dire "uso ICF" (cioè aderisco al modello descrittivo e uso il linguaggio tecnico previsto dall'operazione di codifica delle informazioni raccolte) per poter essere certi di stare usando il linguaggio allo stesso modo e per scambiare informazioni in maniera standard sullo stato di salute, sul funzionamento e sulla disabilità delle persone valutate. È necessario entrare nel merito di come si usa ICF.

Poiché ICF è di per sé neutro rispetto ai fini delle valutazioni, è necessario che i diversi utilizzatori siano espliciti sui fini delle valutazioni, su quanto ICF viene usato, e su come viene letto l'insieme di informazioni che in ogni caso un profilo di funzionamento descritto con ICF contiene. Potremmo scoprire che stiamo dicendo cose diverse, pur parlando in ICF. Per esempio che non stiamo considerando gli aspetti positivi e negativi dell'interazione persona/contesto pur dichiarando di voler usare ICF; che non abbiamo analizzato il ruolo dei fattori ambientali sulle funzioni fisiologiche del corpo; che non abbiamo analizzato su quali attività agiscono i fattori barriera; che stiamo mettendo una soglia tra funzionamento e disabilità diversa nei diversi modi d'uso dello stesso linguaggio descrittivo; che non stiamo usando lo stesso set di informazioni per descrivere funzionamento e disabilità; che quando pensiamo alla gravità della disabilità e diciamo di usare ICF, abbiamo scarsa consapevolezza che la gravità di cui parliamo è quella dell'interazione tra persona con un problema di salute e fattori contestuali; oppure che non stiamo considerando profili di funzionamento in spazio-tempi distinti utili alla progettazione personalizzata educativa, lavorativa, riabilitativa.

Altro aspetto da sottolineare è che la valutazione del funzionamento pretende che la persona si esprima sulle "difficoltà" o sui "problemi" che ha/che non ha/che ha avuto/che non ha avuto in un determinato periodo di tempo, a diversi livelli (a livello delle funzioni fisiologiche del corpo, nello svolgimento di diverse attività, della partecipazione) e sull'effetto dei fattori ambientali (distinguendoli tra facilitatori e barriere) che usa, frequenta, incontra nella sua vita ordinaria. La centralità della persona nella valutazione del funzionamento è fondamentale. Tuttavia, non sempre sembra essere assicurata nelle modalità valutative alla base dell'uso di ICF. Ciò comporta che presumibilmente sono in uso modi diversi di raccogliere le informazioni che poi dovranno essere scritte in ICF. La conseguenza è che frasi in ICF scritte da valutatori differenti potrebbero non avere lo stesso contenuto informativo.

Il sistema VilmaFABER e la valutazione dei risultati raggiunti

Anche VilmaFABER è un acronimo: significa in italiano Valutazione integrata longitudinale multiassiale/Fascicolo biospicosociale elettronico regionale.

Figura 3 - Il logo di VilmaFABER

VilmaFABER è un sistema di valutazione originale sviluppato per rispondere a diverse esigenze. La prima è quella di organizzare in maniera semiautomatica la valutazione dei risultati raggiunti nella/dalla presa in carico utilizzando in modo nuovo ICF, abbinato al altre terminologie e nomenclatori standard.

Il fatto di aver fatto virare l'uso di ICF sulla valutazione dei risultati raggiunti è dal nostro punto di vista uno snodo metodologico fondamentale.

Proprio perché la valutazione del funzionamento e della disabilità secondo ICF non possono che essere retrospettive, le domande da farsi per chiedersi come è andata, nello spazio-tempo considerato per la valutazione, l'interazione tra individuo e contesto è, di fatto, una domanda sui "risultati raggiunti".

Nella prima parte di valutazione precisa e sintetizzare in modo automatico il mix di quelli che ICF identifica come fattori ambientali, ma che persona per persona sono riferiti a servizi specifici, farmaci specifici, familiari specifici, indennità specifiche e così via, che in ICF non hanno nome. Il dettaglio viene descritto in italiano, usando nomenclature e terminologie standard valide in Italia, e abbinate a ICF da FABER. Così facendo FABER da un lato espande ICF, dando ai pochi termini che ICF ci mette a disposizione significati più precisi e specifici (per esempio espande ICF usando ISO 9999), dall'altro rilascia un prodotto nuovo chiamato "Progetto di intervento in atto".

Il sistema VilmaFABER avvia la valutazione del funzionamento partendo proprio dai fattori del progetto di intervento in atto, abbinati in automatico a categorie ICF di fattori ambientali, stressandone la rilevanza per la descrizione del profilo di funzionamento.

Nella seconda parte produce diversi output automatici, in forma di immagini e in forma di tabelle che descrivono i risultati raggiunti usando i concetti di funzionamento e disabilità secondo ICF.

Figura 4 - VilmaFABER lavora come una betoniera!

Tali concetti sono usati come descrittori proxi di risultato positivo (il funzionamento) e di risultato negativo (la/le disabilità).

VilmaFABER attualmente usa una soglia tra funzionamento e disabilità, ma l'analisi dei dati raccolti nei field test ha verificato l'utilità e le conseguenze dell'uso di altre soglie. L'utilità di ICF sta anche in questo. la distinzione tra diversi gradi di problemi (esplicitati da qualificatori da 0 a 4), e solo quello, permette di distinguere tra funzionamento e disabilità secondo ICF. Tuttavia il solo testo scritto in ICF può essere incompleto, se non completato sempre con le frasi riguardanti il ruolo dei fattori ambientali in tutte le componenti descrittive. Abbiamo lavorato per staccare il momento della codifica dal momento della descrizione delle interazioni, fatte in linguaggio naturale, usando strumenti appropriati che dialogano con un sistema automatizzato di codifica.

Staccare il momento della codifica da quello della valutazione aiuta a padroneggiare il senso della valutazione del funzionamento, aiutando a porci in una nuova attitudine valutativa. Quella che si occupa della descrizione dei risultati raggiunti, descritti usando ICF, ma non necessariamente coincidente con l'apprendimento delle competenze di codifica.

Mi auguro di riuscire a far crescere un laboratorio collaborativo, anche internazionale, per raccogliere dati VilmaFABER utili a ripensare le politiche di welfare. In altre pillole, presenterò dati e riflessioni utili a convergere verso quello che potremmo chiamare "laboratorio WEBB".

 

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