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La pillola di WEBB #criteriragionevoli

 

 

La "graduatoria" dei pazienti eleggibili agli adattamenti ragionevoli e criteri di eleggibilità basati sulla valutazione con ICF

di Lucilla Frattura

Agosto 2014

Sulla base di una prospettiva valutativa basata sulla descrizione dei risultati raggiunti dalla presa in carico sarebbe possibile definire nuovi criteri di eleggibilità agli adattamenti ragionevoli. Sarebbe possibile addirittura stilare una "graduatoria" non più basata sui "più gravi"/"più gravosi", ma sui "bene assistiti/seguiti/curati/messi in condizioni di apprendere/messe in condizioni di lavorare". Sarebbe così possibile distinguere tra:

Volendo far sì che le persone con qualunque condizione di salute (soprattutto quelle con serie condizioni di salute) siano TUTTE bene assistite/seguite/curate/messe in condizioni di apprendere/messe in condizioni di lavorare, la valutazione con ICF potrebbe aiutare ad indirizzare il chi e il come assistere meglio e verificare a valle degli interventi i risultati raggiunti (più funzionamento, meno disabilità).

Tocca adesso parlare in ICF, correndo il rischio di tecnicismo. Ma lo ritengo indispensabile, per non far sì che ICF sia uno slogan, una moda, una nuvola di fumo, un chiacchiericcio.

Tecnicamente, quindi, usando la valutazione basata su ICF, potremmo voler capire se le persone siano in generale "bene assistite". Sarebbe forse meglio non usare solo l'espressione "bene assistite", ma parlare anche (e in ogni caso) di "persone messe in grado di vivere una vita dignitosa e ordinaria". Per brevità, di seguito, userò il termine "persone assistite", volendo intendere "persone messe in grado di vivere una vita dignitosa e ordinaria".

Potremmo, per esempio, distinguere:

L'essere messi in grado di vivere una vita dignitosa e ordinaria diventerebbe così la questione centrale su cui si concentra la valutazione dei risultati delle politiche integrate, iniziando dalla filiera sociosanitaria.

Se adoperassimo criteri di eleggibilità basati sulla ricerca dei risultati raggiunti andremmo incontro a conseguenze pratiche utili. Per capire se una persona "è stata messa in grado di vivere una vita dignitosa" è necessario far evolvere le modalità valutative in uso. è necessario passare da una modalità lineare, in cui si esplora un aspetto della vita alla volta (più che altro un suo proxy) alla vecchia maniera (cercando i segni nel corpo della grave condizione di salute, o la impossibilità a cambiare posizione corporea di un allettato, o l'incapacità a leggere, o l'impossibilità di camminare), ad una modalità a matrice in cui di volta in volta si chiede alla persona stessa se e quanto quello che stiamo facendo, come sistema curante composito, per lei, gli/le è utile per fare tutto quello che fanno le persone viventi "senza difficoltà".

Quello che dovremmo cercare, pertanto, è l'assenza di un problema clinico e/o assistenziale, e non la sua presenza. Se il problema, infatti, fosse ancora presente vorrebbe dire che le cure effettuate, i servizi erogati, gli atteggiamenti dei caregiver, i fondi stanziati, gli assegni di cura concessi, i servizi domiciliari attivati, le doti di cura introdotte, etc, etc, etc (l'intero menu del welfare) non sono stati in grado di mettere in condizione la persona di vivere dignitosamente.

 

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